mercoledì 28 novembre 2012

Il massaggio del neonato (AIMI)

Il massaggio del bambino non è una tecnica, è un modo di stare con il proprio bambino.
Il massaggio del bambino è un’antica tradizione presente nella cultura di molti paesi. Recentemente è stata riscoperta e si sta espandendo anche nel mondo occidentale.

L’evidenza clinica e recenti ricerche hanno, inoltre, confermato l’effetto positivo del massaggio sullo sviluppo e sulla maturazione del bambino a diversi livelli.
Il massaggio del bambino è semplice, ogni genitore può apprenderlo facilmente, flessibile, e può adattare alle esigenze del bambino, fin da piccolo e durante le diverse fasi della sua crescita.
Con il massaggio possiamo accompagnare, proteggere e stimolare la crescita e la salute del nostro bambino, è un mezzo privilegiato per comunicare ed essere in contatto con lui.
Il massaggio: 


  • Favorisce uno stato di benessere nel bambino;
  • Aiuta il bambino a scaricare e dare sollievo alle tensioni provocate da situazioni nuove, stress o piccoli malesseri;
  • Favorisce il rilassamento del bambino; 
  • Stimola, fortifica e regolarizza il sistema circolatorio, respiratorio, muscolare, immunitario e gastro-intestinale e così previene e dà sollievo al disagio delle coliche gassose;
  • Può prevenire e dare sollievo al disagio provocato dalle coliche gassose;
  • Può rivelarsi un buon sostegno nei disturbi del ritmo sonno-veglia; 
  • Favorisce nel bambino la conoscenza delle varie parti del corpo sostenendo lo sviluppo dell’immagine di sé, così da far sentire il bambino aperto, sostenuto ed amato; 
  • Favorisce il legame di attaccamento e rafforza la relazione genitore-bambino;
  • E’ un’esperienza di profondo contatto affettivo tra genitori e bambino, che favorisce il rilassamento di entrambi;
  • Nutre e sostiene nell’arte di essere genitori.

fonte: http://www.aimionline.it/

martedì 20 novembre 2012

La giornata mondiale dell'infanzia


La convenzione ONU stipulata nel 1989 sancisce i diritti di bambini e adolescenti. Tutti dovrebbero leggerla almeno una volta.

In particolare vorrei focalizzare l’attenzione sul dodicesimo articolo, che recita “Hai diritto a esprimere la tua opinione su tutte le questioni che ti riguardano. La tua opinione deve essere ascoltata e presa in seria considerazione.” Mi chiedo quante volte siamo in grado di farlo.

Quante volte prevale la nostra assoluta certezza di adulto nell’imporre determinate scelte? Quante volte non abbiamo cinque minuti di tempo per chiedere ‘tu cosa ne pensi?’? Quante volte rifiutiamo il confronto per paura che la nostra autorità ne risenta?

Nella Convenzione è stata riconosciuta l’importanza di valorizzare l’opinione dei bambini, dando loro l’opportunità di esprimerla. È chiaro che poi il genitore o l’adulto in genere è chiamato a perseguire il bene del piccolo, ma senza l’arroganza di dare per scontato, o per inutile, il suo pensiero.
Chiedere a un bambino cosa ne pensa lo fa sentire immensamente valorizzato; si apre la strada al dialogo, si valorizza la comunicazione, si fa concretamente sentire che cos’è il rispetto.

domenica 18 novembre 2012

I gruppi di genitori (www.spazioallemamme.it)


Perché sono importanti i gruppi di genitori?
Da “La rabbia delle mamme” di A. Marcoli (Oscar Mondadori 2011), alcuni punti di riflessione in merito:
  • Diminuiscono la solitudine con cui viene assunto il ruolo di genitore. In un gruppo di condivisione non si è più soli. 
  • Si percepisce il conforto e la maggior forza data dall’appartenenza: nel gruppo ci si sente tutti sulla stessa barca. Ci si sente capiti e sostenuti. 
  • Si ottiene un arricchimento e una modifica delle immagini mentali, sia la propria sia quella dei figli. Gli altri genitori aiutano a guardare e vedere le cose anche con i loro occhi, che non in genere meno severi e critici dei propri. 
  • Aumenta il dialogo e migliora la comunicazione all’interno della famiglia. Questa maggiore capacità protegge i figli e diminuisce il rischio di agiti aggressivi e distruttivi. 
  • Aumenta la capacita di ascolto vero. Si accoglie l’altro per come è nella realtà, che non sempre corrisponde a come l’abbiamo in mente noi. 
  • Si crea la possibilità di uno scambio continuo di informazioni e riflessioni necessarie a chi vive la stessa situazione e gli stessi problemi. Tante informazioni utilissime per tutti i genitori vengono messe a disposizione di ognuno da chi ha avuto la possibilità di acquisirle nella propria esperienza personale. 
  • Migliora la capacità di stare nell’incertezza e nel dubbio. Quando non ci sentiamo soli, ma accompagnati e capiti, diventa più facile anche tollerare il territorio dell’incerto, del dubbio, del disorientamento che caratterizzano tutti i momenti di piccoli e grandi cambiamenti di vita. 
  • Aumenta la consapevolezza dei propri conti personali o familiari in sospeso con la vita e spesso proiettati massicciamente sui figli senza neanche rendersene conto. Con il tempo si impara a liberarsene per non far pagare ai propri figli i propri conti in sospeso col passato. 
  • Migliora la capacità di separazione e rispetto dei confini reciproci. I figli potranno così cominciare a costruire la loro identità autonoma, messa a rischio da legami spesso di dipendenza reciproca basati su schiaccianti sensi di colpa e ricatti affettivi. 
  • Si crea la possibilità di chiudere i conti in sospeso con i propri genitori. La possibilità di riuscire a poco a poco a far pace con i genitori che ognuno si porta dentro, sia che siano vivi oppure ormai morti. 
  • Nasce la possibilità di cambiare ottica di lettura. Ci si pone domande diverse che aiutano a trovare strade e soluzioni diverse che non si ritorcano più né contro i genitori, né contro i loro bambini. 
  • Si presenta la possibilità di sanare vecchie ferite. Racamier, famoso psicoanalista, diceva che ogni ferita si può chiudere, ma solo a una condizione: che prima venga aperta.

venerdì 2 novembre 2012

Sacrosanta verità.

"Nessuno dà una medaglia a chi ne esce completamente da solo, lo sai vero?" 
[C. Dunne]

La verità, grazie.



Cara mamma,

come stai? Sai, te lo chiedo perché in questi giorni ti sento stanca, distante, pensierosa; mi viene voglia di urlare più spesso e di farti arrabbiare di più, così capisco quello che ti passa per la testa, perché in quel momento so che ce l’hai con me. E, anche se sembra strano, mi sento più sicuro.

Perché nel resto del tempo io ti guardo e ti vedo sorridermi, ma avverto una sensazione strana, come se non ci fosse gioia in quel sorriso. Come se i tuoi occhi dicessero qualcosa di diverso. Dentro di essi vedo che stai male mamma, ma non capisco perché e mi preoccupo moltissimo, penso che da un momento all’altro possa succedere chissà cosa e l’ignoto è una grande minaccia per me, fa davvero paura.
Puoi dirmi la verità mamma? Per favore. Dimmela con parole che si adattino ai miei tre anni, che io possa capire, ma non fare finta, se il dolore è troppo grande non ci riesci fino in fondo. 
Certo, tu pensi che io non capisca, sono così piccolo! Ma certe cose, mamma, lo sai meglio di me, passano dalla pelle, dalla pancia, dagli occhi e mi colpiscono anche se sono piccolo. Il mio problema è che non me le so spiegare, quindi ho bisogno che lo faccia tu.
Non dire che va sempre tutto bene se non è così, che stai sempre bene se non è così, che non è cambiato niente se non è così. 
Posso capire se mi racconti che sei un po’ arrabbiata, che stai un po’ male e che forse adesso nella nostra giornata qualcosa cambierà perché i grandi fanno delle scelte.
Rassicurami poi, quello sì, dicendo che sarai sempre la mia mamma e non dovrò preoccuparmi perché ci sarai sempre per me, perché mi aiuterai ogni volta che ne avrò bisogno e mi amerai infinitamente ogni giorno della tua vita.
Ma non mentirmi, mamma, non pensare che io non percepisca, che non senta, che non mi spaventi: ricordati piuttosto che non capisco e ho bisogno che tu mi spieghi, con parole semplici, tacendo i dettagli che credi siano troppo per me, ma che tu mi dica la verità, grazie.
Ti voglio bene mamma.

venerdì 26 ottobre 2012

I nonni ieri e oggi



Quando ripenso alla mia infanzia i ricordi sono per la maggior parte per i miei nonni.
E così sembra essere, in generale, per la mia generazione: nonni sempre a casa, che accudiscono i nipoti quasi ventiquattro ore al giorno, quasi sette giorni su sette.
Il mondo negli ultimi trent’anni è cambiato per tutti, anche per i nonni: oggi, spesso, i nonni lavorano ancora, hanno tanti interessi e attività, hanno coltivato negli anni amicizie e spazi di libertà a cui non si sentono di rinunciare in toto.
E i figli, neogenitori, non se ne capacitano: ma come, proprio tu, mamma, che mi hai lasciato dalla nonna per poter lavorare e magari fare carriera, proprio tu, papà, che eri ben felice di sapermi al sicuro dai tuoi genitori tutto il giorno, ora non siete disposti a fare da baby-sitter a tempo pieno? E io, ora, come faccio? Gli asili nido costano, uscire dal lavoro all’orario di chiusura della scuola materna non mi è possibile, e il calcio? Chi porta mio figlio a calcio?!
Beh, cari genitori, oggi impariamo a non dare per scontata la disponibilità altrui; impariamo a chiedere, senza pretendere, ciò di cui abbiamo bisogno, considerando la possibilità che la risposta sia un no; impariamo che la nostra scelta di avere un figlio non implica automaticamente la scelta dei futuri nonni di avere un nipote. 
Insomma, quando diventiamo genitori, ci allontaniamo un po’ dalla dipendenza dell’essere figli; crearsi una famiglia è anche questo.

lunedì 22 ottobre 2012

Da te mi aspetto di più!



Spesso sento dire questa frase, i genitori la rivolgono ai figli, gli insegnanti agli alunni, i coach ai piccoli giocatori. E l’intenzione è sicuramente delle migliori, si pensa di spronare il bambino in questione, muovendo chissà quale leva d’orgoglio, facendolo sentire pieno di esuberante potenzialità inespressa.
Ma vi siete mai chiesti se è davvero così, ogni qual volta pronunciate quelle sei parole? Vi siete mai chiesti se davvero in quel preciso momento, in quelle condizioni, quel bambino poteva dare di più? E vi siete chiesti se per lui ne valeva la pena?
La frase “da te mi aspetto di più” porta con sé un senso di amarezza non apertamente dichiarato, fa sentire di aver mancato qualcosa, di aver deluso la persona che la pronuncia.
E chi lo dice che questo si riveli sempre un incentivo e non diventi un senso di colpa?
Proviamo piuttosto a cercare di metterci nei panni del bambino che abbiamo di fronte prima di pronunciare quelle parole e chiediamoci se noi, nelle sue condizioni, le apprezzeremmo. 
Proviamo a pensare se, dopo una giornata di lavoro, con tutti i pensieri che ci vengono per quello che succede a casa, qualcuno per noi davvero importante ci dicesse “da te mi aspetto di più” per aver mancato un obiettivo per noi non particolarmente importante. Come ci sentiremmo? Ci verrebbe sicuramente voglia di fare meglio o ci sembrerebbe di non essere proprio capiti?

martedì 16 ottobre 2012

Spazio Alle Mamme!

E' ONLINE IL NUOVO SITO!!!


Gruppi per mamme, dedicati al confronto e al reciproco aiuto in questa particolare avventura della vita, perchè è estremamente importante condividere le difficoltà e non essere sole!! Gruppo DI mamme, PER le mamme, CON le mamme.

Seguici su Facebook: www.facebook.com/SpazioAlleMamme

mercoledì 10 ottobre 2012

Dire, fare, baciare, lettera, testamento.

Ci giocano i bambini da chissà quanto tempo, giochiamoci anche noi!
Dire: i bambini hanno delle antenne meravigliosamente sensibili, colgono tutto, soprattutto quello che non viene detto, i segreti, quelli che turbano la mamma, il papà o l’intera famiglia. E se non se ne sentono dare una spiegazione possono averne paura, perché si fanno delle fantasie con ciò che hanno a disposizione. Impariamo a poter dire ai nostri figli, piano piano, con molto tatto, anche quando le cose non vanno bene, rispondendo alle loro domande, non eludendole.
Fare: ai bambini oggi sono offerte mille e una possibilità di fare e a volte i genitori si sentono in difficoltà se rinunciano a qualcosa. Ci sono corsi di nuoto, danza, calcio, musica, lingua straniera, disegno… Insomma, tante attività bellissime e sicuramente utili, ma che forse passano in secondo piano l’importanza dello stare, e non del fare, con i propri figli. Impariamo a stare insieme anche senza avere sempre a disposizione strumenti accessori, ma con noi stessi come primo strumento.
Baciare: beh, quanti baci si danno ai bambini? Quanto li si brama quei bacetti, quelle dimostrazioni di affetto, quel contatto così vicino e dolce? Ma ci chiediamo mai quanto sia intimo un bacio e quanto noi adulti scegliamo con cura a chi darlo? Ricordiamocene quando insistiamo che nostro figlio baci la vecchia zia mai vista, o l’amico di famiglia con la barba ispida, ricordiamoci cosa gli stiamo chiedendo, pensiamoci un attimo se è il caso di arrabbiarsi perché non vuole farlo. E magari troviamo un compromesso che rispetti la nostra voglia che il piccolo dimostri affetto verso qualcuno e la sua voglia di concedere la sua cosa più preziosa a chi non sente così vicino. Non si può mandarlo con la manina da lontano quel bacio?
Lettera: nell’era multimediale le lettere non esistono più, ci sono le e-mail, ma il nostro gioco non si è ancora aggiornato, pensa ancora in termini di carta-e-penna. Ma il senso e il contenuto non cambia, le lettere si scrivono agli amici lontani per mantenere un contatto, per raccontare di sé, per sapere come stanno. Gli amici vanno coltivati, non sottovalutiamone l’importanza, né per noi né per i nostri figli. Gli amici vanno rispettati e vanno scelti, ognuno sente con chi vuole condividere un pezzo di vita. In ogni caso stare con gli altri fa bene. E se non abbiamo tempo di vedere le nostre amiche, mamme, non lasciamo che si dimentichino di noi, scriviamo lettere, mail, bigliettini per piccioni viaggiatori, ciò che preferite, ma teniamole strette.
Testamento: perché in un gioco per bambini c’è il riferimento alla morte? Perché ogni cosa comincia e finisce e l’idea della morte è più che altro l’idea delle cose che ad un certo punto della propria vita bisogna lasciare. Perché è giusto così, anche quando fa un po’ male. Quindi prima o poi il ciuccio va lasciato, il lettone abbandonato, la sicurezza di casa lasciata ad aspettare nelle ore di scuola. E non si possono togliere ai figli le piccole sofferenze che li aiutano a crescere, sono loro essenziali. Si può stare vicino e accogliere i sentimenti che portano con sé, anche se brutti e difficili, lasciando però che la vita faccia il suo corso.

mercoledì 3 ottobre 2012

Riflessioni...

"Voglio anche sottolineare che, nonostante pareri contrari, occuparsi di neonati e di bambini non è un lavoro per una persona singola. Se il lavoro deve essere fatto bene e se si vuole che la persona che primariamente si occupa del bambino non sia troppo esausta, chi fornisce le cure deve a sua volta ricevere molta assistenza. Varie persone potranno fornire questo aiuto: in genere è l'altro genitore, in molte società, compresa la nostra, l'aiuto proviene da una nonna. Altri che possono essere coinvolti nell'assistenza sono le ragazze adolescenti e le giovani donne. Nella maggior parte delle società di tutto il mondo questi fatti sono dati per scontati e la società si è organizzata di conseguenza. Paradossalmente ci sono volute le società più ricche del mondo per ignorare questi fatti fondamentali. Le forze dell'uomo e della donna impegnati nella produzione dei beni materiali contano come attivo in tutti i nostri indici economici. Le forze dell'uomo e della donna dediti alla produzione, nella propria casa, di bambini sani, felici e fiduciosi in sé stessi, non contano affatto. Abbiamo creato un mondo a rovescio." [J. Bowlby]
 

domenica 30 settembre 2012

Il primo giorno di scuola

Che sia il primo giorno di nido, di materna, di elementari, di medie, di superiori, di università, perfino il primo di lavoro del proprio figlio, per una mamma è sempre un momento immensamente emozionante. Quante paure, quanti pensieri, quante gioie si intrecciano!
Poco cambia che il piccolo abbia due, dodici o vent’anni… per la sua mamma è sempre un momento di riflessione.
Ci si chiede come starà lontano da noi, ci si preoccupa che trovi persone che lo capiscano e lo accolgano bene, ci si chiede se sia effettivamente pronto per quel passo… E si aspetta col cuore in gola che torni a casa.
E forse il pensiero torna al passato, indugia sulla nostalgia, e viene un po’ da chiedersi come abbia fatto il tempo a scorrere così veloce. Quando è successo? Quando ha smesso di piangere perché non mi vedeva? Quando ha smesso di aver bisogno della fiaba della buonanotte? Quando ha smesso di rifugiarsi tra le mie braccia per un lieve spavento?
Da quando non sono più tutto il suo mondo?
È difficile abituarsi a un figlio che cresce, perché ci si riabitua anche un po’ a se stesse.
Ogni primo giorno di scuola si riacquistano parti di sé, imparando che il proprio mondo, seppur fortemente intrecciato, è distinto da quello del proprio figlio e questo è un’immensa ricchezza.


giovedì 27 settembre 2012

Spazio 0-12 mesi, mamma-bambino

Care mamme,
da giovedi prossimo, 4 ottobre 2012, presso il centro Primomodo Bergamo, a Bergamo in Viale G.Cesare, cominceremo il percorso di accompagnamento alla neo-maternità.
Con il gruppo che si creerà ci incontreremo una volta alla settimana, sempre di giovedi, dalle 10:30 alle 12:00 e affronteremo insieme i temi che più stanno a cuore alle neomamme: le difficoltà di questa esperienza, il sonno dei piccoli, la coppia dopo il parto, l'allattamento e lo svezzamento, i bisogni del neonato e dei suoi genitori...
Sarà un'esperienza ciclica, aperta a tutte coloro che vogliano confrontarsi e trovare/ricevere sostegno in questa particolare fase di vita, in cui è fondamentale non sentirsi sole.
Vi aspetto!
Per qualsiasi informazione
Centro Primomodo Bergamo tel: 035.077.01.06


lunedì 24 settembre 2012

A cosa rinuncio per un figlio?

Oggi vorrei condividere con voi alcuni pensieri relativi alle rinunce che ci si presentano quando decidiamo di avere un bambino.
Gli atteggiamenti possono essere molto diversi, ma la paura colpisce tutti, mamme e papà: avrò chiuso con la mia vita? Non potrò più fare quello che voglio? E il calcetto del giovedì sera? E la cena con le amiche il sabato?
Insomma, si insinuano dubbi e paure mentre quel pancione cresce, come se una parte di noi cominciasse a salutarci, per sempre.
Le reazioni, quando il bambino nasce, si dimostrano poi le più disparate: c’è chi si annulla per la causa e non si prende neanche più il tempo di andare dal parrucchiere per mesi interi e chi finge che quel fagottino sia un’appendice di sé e non abbia esigenze autonome.
Così in spiaggia si vedono mamme che portano i bambini piccoli sotto il sole di mezzogiorno e quasi se ne dimenticano prendendo il sole, mentre quei piccoli si arrossano, non riescono a tenere gli occhietti aperti, non vogliono mangiare né possono dormire quando ne avrebbero bisogno.
Oppure mamme e papà che per paura di non dedicare sufficienti attenzioni al loro bambino nemmeno conversano più, perché bisogna sempre giocare con il piccolo, né si ritagliano momenti di intimità, perché il piccolo occupa nel lettone lo spazio della coppia.
Forse c’è una via di mezzo.
Quando nasce un bambino le sue esigenze sono primarie, anche perché sono quasi di sopravvivenza, e come tali vanno rispettate con molta cura. Ma una mamma e un papà continuano ad essere un uomo e una donna e non possono né devono annullare se stessi, perché prima o poi i figli crescono, piano piano si allontanano, e vanno lasciati andare non costretti a restare perché senza di loro non si ha più un’identità.
Cerchiamo di ragionare con il buon senso e di trovare dei compromessi che preservino innanzitutto la salute del piccolo e il suo benessere, ma anche la qualità della vita di mamma e papà.

lunedì 17 settembre 2012

Sarai lo stesso la mia mamma?

Triste destino ti è capitato piccolo. Dopo che alla nascita la tua mamma ti ha rifiutato, la nuova moglie di papà è diventata mamma della tua sorellina e per un po’ di tempo ti ha fatto pensare di essere anche tu il suo bambino.
Tu sei piccolo, ma la tua mente la situazione l’aveva già analizzata per bene. Quante volte le hai chiesto “sarai lo stesso la mia mamma se tu e papà vi separerete?”, sai bene cosa si passa a non averla una mamma e non vuoi più provarlo. E ti è stato promesso, giurato e assicurato che papà e la nuova mamma non si sarebbero mai lasciati e che in ogni caso tu sei e rimarrai per lei come la tua sorellina, un figlio.
Chissà cosa senti ora, dopo così tante rassicurazioni che quasi ci hai creduto, quando poi è successo ciò che temevi così intensamente, perché ora papà e quella mamma si sono lasciati. Ma tu ti sei fidato, ti sei affidato a lei, come avresti fatto con la tua mamma-della-pancia.
Ti chiedi perché la tua sorellina quella mamma la vede ancora e tu no? Non c’è più spazio per te? Ti chiedi perché le promesse di un adulto non sono state mantenute? Ti chiedi cosa hai combinato di così grave per aver fatto scappare due mamme?
Caro cucciolo, i grandi a volte fanno promesse che non mantengono. Non perché sono cattivi, ma perché non ce la fanno prorio; ci provano, per un po’ ci riescono, ma a volte crollano.
Così è stato per la tua mamma-della-pancia, lei non ce l’ha fatta a fare la mamma, la fatica era troppo grande. Così è stato per la nuova mamma, ti ha voluto bene, ma ora non riesce più.
Piccolo mio, non è colpa tua, non hai fatto niente per meritartelo e proprio non è giusto che ti sia successo. Non sono scappate da te quelle donne, sono scappate da loro stesse.
Ti manca la mamma, una mamma, è difficile andare avanti senza, lo so.
Stringi forte il tuo papà, chiedigli di passare più tempo con te, interrogalo su questo mondo dei grandi che proprio non ti protegge.
La tua strada è un po’ in salita, ma, ne sono certa, troverai qualcuno che ti aiuterà a percorrerla.



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lunedì 10 settembre 2012

Perchè a mio figlio serve uno psicologo?

“Non è mica matto! Sono cose da bambini! Niente di grave!”
Quante volte sento dire frasi del genere, così spesso dettate dalla paura di poter essere accusati di negligenza, giudicati cattivi genitori, svergognati per le proprie mancanze.
Il ‘dottore dei matti’ è un evergreen, sotto sotto lo pensa anche buona parte di chi ride di cotanta superficialità. Però poi le difficoltà le abbiamo tutti, ogni giorno, anche i più ‘non-matti’; ci confrontiamo con sentimenti di sconforto, preoccupazione, paura, rabbia e a volte non sappiamo gestirli.
E noi siamo adulti, immaginatevi i bambini, che come noi vivono questi sentimenti, ma che non sanno darsene una spiegazione razionale o una motivazione comprensibile. Si sentono smarriti, inchiodati ad una realtà che sfugge loro di mano; si sentono soli.
Perché non dare loro una possibilità di stare meglio?
Se tuo figlio, o tua figlia, ti preoccupa perché è ingestibile, ha difficoltà a dormire o a mangiare, ha ricominciato a fare pipì a letto o non ha mai smesso, trattiene la cacca e si sporca, ha paure che sono diventate difficili da affrontare, ha problemi scolastici, sta attraversando un momento particolare di crescita, è preoccupato o triste, ti sembra sofferente, è aggressivo, è vittima di bullismo, ha dolori fisici ma gli esami clinici sono tutti negativi, ti sembra diverso dagli altri, non rispetta le regole, è sempre distratto… non sottovalutare il suo disagio. Parlane con un esperto.
La psicologia aiuta le persone a stare meglio conoscendosi nel profondo, non fa magie e non risolve i problemi con arcani rituali; la psicologia è come una stampella per camminare quando abbiamo una gamba rotta, come gli occhiali correttivi quando siamo miopi, come un cappellino con visiera quando il sole è troppo forte.
E lo psicologo è proprio colui che non giudica, ma cerca di comprendere. È il suo mestiere.
Se hai anche solo il dubbio che qualcosa non vada, vai a fare una chiaccherata con uno psicologo, senza alcun impegno. Poi potrai valutare con più consapevolezza la situazione, potrai con più lucidità capire il disagio di tuo figlio, potrai decidere di farlo stare meglio.

domenica 2 settembre 2012

Le aspettative degli adulti

Il piccolo sta crescendo, diventa sempre più grande e il suo carattere si fa sentire. Non esita a dire ciò che ama e ciò che non sopporta, afferma le sue ragioni, fa dei programmi. Spesso vi contraddice, replica alle vostre ingiunzioni, mette in discussione regole che fino a quel momento erano date per scontate.
E voi vi scontrate con lui, vi chiedete cosa stia succedendo, cosa sia cambiato da quando vi sembrava che il pensiero del piccolo fosse esattamente in linea con il vostro.
Fermatevi un attimo a pensare e vi renderete conto che il vostro bambino sta cominciando ad affermare se stesso. Sì, perché non è detto che condivida in toto i vostri modelli di vita, può volerne sperimentare altri.
Allora sta a voi fare una riflessione importante: quanto di ciò che gli proponete ogni giorno cerca di assolvere alle vostre aspettative senza tener conto delle sue reali inclinazioni? Ad esempio, mandate vostro figlio a nuoto, così che diventi forte e armonioso, a calcio, così che possa giocare a qualcosa che lo diverte, a chitarra, perché saper suonare uno strumento è bello, a ripetizioni, perché a scuola bisogna essere perfetti.
Avete riflettuto su quanto carico da gestire tutto questo comporta? E vi stupite se finge i mal di pancia per non andare a nuoto o la sera fa i capricci per finire i compiti scolastici?
Lo state facendo proprio solo per lui o state un po’ cercando di costruire il figlio perfetto?
Ascoltatelo, non date per scontato di sapere sempre quale sia il suo bene, cercate di sentire nel profondo se tutte le vostre idee su quello che un bambino dovrebbe fare o essere si adattano a vostro figlio. Non sovraccaricatelo, anche se lo fate con le migliori intenzioni, anche se lo fate per potergli dare più possibilità in futuro. Perché non è solo la quantità delle esperienze che conta ma soprattutto la qualità: un’esperienza angosciante non gioverà nel futuro, non lascerà nessuna voglia di ripeterla, si porterà solo lo strascico di una forzatura.



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lunedì 27 agosto 2012

Attenti al cane!

Sì, attenti al cane: prestate attenzione al vostro cane, non è un giocattolo per bambini.
Avere un cagnolino per casa è per i bambini un’esperienza meravigliosa e arricchente perchè insegna loro a prendersi cura di un essere vivente, non li fa sentire soli, regala loro momenti di affetto smodato e di amore incondizionato, li accompagna passo dopo passo nella crescita. Letteralmente proprio: ho in mente una bimba che ha imparato a camminare tenendosi in equilibrio con la coda del proprio labrador, il quale con infinita pazienza le faceva da supporto, passo dopo passo.
Il cane è un animale speciale, un amico fidato, un compagno di giochi instancabile. Ma è un essere vivente e dipende completamente dal suo padrone, si fida di lui, si affida a lui. È facile fare male a un cane, lui spesso non reagisce, è troppo l’amore che prova.
I bambini, a volte, non riconoscono al cane il rispetto che merita: lo trattano come un pupazzo, gli tirano le orecchie, lo percuotono senza ragione, anche solo per sfogare un po’ di aggressività.
Non permettetelo: non solo perché non è giusto visto che il cane non è un pelouche, ma anche perché passereste un pessimo messaggio ai vostri figli. I bambini devono imparare ad avere rispetto e delicatezza verso i più deboli, perché non tutto è un gioco di forza; devono imparare che chi dipende da loro ha bisogno di cure e di affetto, perché non si è circondati solo da strumenti; devono imparare che ognuno ha i suoi spazi e le sue esigenze, anche il cagnolino, perché non siamo il centro del mondo e non esistono solo i nostri bisogni.
Un cane può insegnare tanto ad un bambino e, se poste le corrette premesse, può essere un amico indimenticabile.
 
 

lunedì 20 agosto 2012

Un figlio, anzi no due!

Pensavate di aspettare un unico piccolo esserino, pensavate che nel vostro pancione ci fosse un solo cuore che batte, vi immaginavate con un unico neonato tra le braccia. Invece sono due!
L’entità di una notizia così radicale invade il vostro mondo, si fa strada nella vostra serenità e le preoccupazioni vi assalgono: come farò con due gemelli? E soprattutto: ce la farò?
Quando in una famiglia arriva un neonato la vita prende una nuova forma, si adatta a lui; quando ne arrivano due, mamme, non temete, succede la stessa cosa.
Certo, la fatica è maggiore e i tempi di recupero minori; è fondamentale quindi sapersi far aiutare.
Se arrivate al punto di sentire le pareti di casa che vi si stringono addosso, se vi viene da piangere per la frustrazione generata da quel doppio pianto, se siete talmente esauste da dubitare di riuscire ad alzarvi dal letto, mamme, siete andate troppo oltre. Non cercate di combattere una guerra con voi stesse, con il volercela fare da sole a tutti i costi; chiedete aiuto.
Fatevi sostenere dai vostri genitori o suoceri, da amiche, vicine di casa, sorelle, da chi volete insomma. Scegliete una baby sitter che passi con voi in casa buona parte della giornata.
Non restate da sole.
Due gemelli sono un’avventura meravigliosa, ma per viverla al meglio bisogna essere attrezzate. Pensatela in questi termini: provereste a scalare l’Everest senza sherpa che vi aiutino e senza ossigeno per respirare quando l’aria è troppo rarefatta? No, non avrebbe alcun senso, forse non arrivereste in cima.
Quindi, per godervi il panorama e sentirvi sulla vetta del mondo, fatevi accompagnare e sostenere, non temete di dire “non ce la faccio” o “non ne posso più”. È normale, è legittimo, è comprensibile da parte di chiunque.
La serenità di sentirvi sostenute vi permetterà di vivere tutta la meraviglia dei vostri due gemelli.




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lunedì 13 agosto 2012

Qui non si tocca!

Come si fa a spiegare ai bambini che esistono i mostri, quelli veri, con sembianze umane, quelli che chiamiamo pedofili? Come si insegna ai bambini ad averne paura e a proteggersi, senza per questo che si sentano terrorizzati da qualsiasi sconosciuto?
È sicuramente molto difficile e delicato come argomento, anche perché implica rivelare ai bambini una triste verità: al mondo ci sono persone cattive che possono fare tanto male senza che chi lo subisce abbia alcuna colpa.
Un tempo si usava dire ‘non accettare caramelle dagli sconosciuti’. Ma se poi sconosciuti non sono? Se è l’educatore, il prete, l’insegnante, il vicino di casa, lo zio… beh allora il problema si complica.
E non si può certo dire ‘non fidarti di nessuno che non siano mamma e papà’ perché al mondo ci sono più di sei miliardi di persone e il nostro bambino sicuramente potrà vivere incontri bellissimi con qualcuna di esse.
Si deve insegnare ai bambini, fin da piccoli, la regola del ‘qui non si tocca’. È semplice e può essere compresa già da poco dopo l’anno di età.
Si tratta di insegnare ai bambini che la patatina e il pisellino, così come il culetto e il pancino sono posti che possono toccare solo mamma e papà e che negli altri non si possono proprio toccare, neanche se ce lo chiedono.
Si dice ai bambini che a volte i grandi chiedono ai bambini delle cose, per gioco, che però sono cattive e non devono essere fatte. E se succede che qualcuno prova a toccare proprio lì, o si fa toccare proprio lì, nella zona ‘qui non si tocca!’, beh allora bisogna dirlo subito a mamma e papà, così che possano capire cosa è successo.
E non si deve per niente avere paura, perché la mamma e il papà sono grandi e capiscono se è davvero un gioco o una cosa sbagliata, e perché nessuno può spaventarci dicendo che ci farà cose brutte, perché la mamma e il papà sono i più forti e ci difenderanno sempre.


domenica 5 agosto 2012

Non si beve e non si fuma in gravidanza!

Care future mamme, 
oggi sono proprio un po’ arrabbiata e voglio dirvi un paio di cose importanti.
Ho visto di recente future mamme, con un bellissimo pancione di una gravidanza avanzata, bere vino all’aperitivo o fumare sigarette in un’uscita con gli amici.
Non si fa!
Ci sono cose che potenzialmente danneggiano il bambino in maniera gravissima e il fumo e l’alcol sono le principali. Perché non si possono evitare?
La dipendenza, soprattutto dalle sigarette, è molto difficile da debellare, certo; ma pensate a questo: mettereste una sigaretta accesa in bocca a vostro figlio appena nato? Perché è questo che state facendo quando fumate in gravidanza.
E non ditemi che sono solo una o due al giorno, perché vi ripropongo la stessa questione: fareste fumare al vostro bimbo nella culla una sigaretta, tanto è solo una e un pacchetto farebbe molto peggio?
Pensateci mamme, ve lo chiedo per favore; i polmoni del vostro piccolo respirano grazie a voi nel pancione, sono parte dei vostri, volete veramente che del catrame vi si depositi?
Per quanto riguarda l’alcol il discorso è simile: mettereste nel biberon del vostro neonato un bicchiere di vino? Perché è questo che state facendo quando bevete in gravidanza.
E lasciate perdere tutte quelle stupide dicerie secondo cui ‘tanto un solo goccio non fa male a nessuno’… Chiedete a chi vi obietta così se mai darebbe al proprio figlio neonato del vino mischiato al latte.
Portare avanti la gravidanza è una scelta, che comporta anche rinunciare a una parte di sé stessi per regalarla al bambino che verrà al mondo.
E ne vale la pena, fidatevi.




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domenica 29 luglio 2012

I fratelli più grandi

È in arrivo un altro bimbo: nel subbuglio che crea questa notizia l’occhio cade su quel bimbetto che gira per casa ignaro del fatto che non sarà mai più figlio unico e che la sua vita cambierà.
Diventare fratelli o sorelle maggiori è un po’ traumatico, implica rinunciare a una serie di sicurezze accumulate fino a quel momento e trovarsi a condividere i propri genitori con quel mostriciattolo urlante appena nato.
Non è un momento facile e ogni bambino reagisce diversamente. C’è chi regredisce, magari chiedendo di nuovo il succhiotto di cui si era abituato a fare a meno, o ricominciando a bagnare il letto, o rifiutandosi dormire nella propria cameretta per infilarsi nel lettone. C’è chi si arrabbia moltissimo con la mamma, colpevole di alto tradimento, e su di lei sfoga rabbia e frustrazione, spesso in maniera molto provocatoria e irritante, un po’ a dire “ti faccio provare io quello che mi hai fatto tu, adesso!”.
C’è poi chi, con grande preoccupazione e sgomento dei genitori, si accanisce sul nuovo venuto, cercando in tutti i modi di danneggiarlo, così che almeno pianga per qualcosa, magari.
Insomma, è normalissimo avere una reazione anche forte quando nasce un fratellino o una sorellina. Ci si sente smarriti, traditi, messi da parte. E questo non solo è fisiologico, ma è anche una buona cosa, anche se può sembrare strano.
Quando nella propria vita entra qualcuno che la rivoluziona, da piccoli così come da grandi, ci si sente inizialmente spaesati e arrabbiati: perché non poteva rimanere tutto come prima?
Piano piano, però, non solo si impara a voler bene al nuovo venuto, fino a non potersi più immaginare una vita senza, ma si impara anche a stare bene un po’ con sé stessi, a saper rinunciare a piccoli momenti con la certezza che basta attendere per averne di più belli.
È fondamentale però poter parlare chiaro e sincero, poter dire al proprio figlio maggiore “certo che questo fratellino è proprio venuto a romperti le scatole, ma dai gelosone che la mamma ti riempie ancora di coccole!” così come è importante ricavarsi alcuni spazi a tu per tu con il figlio maggiore, per fare cose che lo facciano sentire speciale perché al neonato sono precluse.
Non imponiamo ai figli di amare il nuovo venuto solo perché esiste: diamo loro il tempo di abituarsi all’idea, di capire che nulla è cambiato perché l’amore dei genitori si moltiplica per ogni figlio che nasce e non si suddivide. Rispettiamo il loro sgomento e aiutiamoli a capire che cosa stanno provando.
E, mi raccomando, non cadiamo nel clichè di dire “tu oramai sei grande”: chi ci ha dato il diritto di decidere che nostro figlio da un giorno all’altro ha perso la sua infanzia? Abituiamoci piuttosto a dire “tu ora sei il fratello maggiore”; sembra identico ma implica un’importante riconoscimento: sei solo più grande del nuovo venuto, ma resti comunque il mio piccolino.




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domenica 22 luglio 2012

Ma che carattere avrà il mio bambino?

Ogni bambino che nasce porta in sé già tracce di quello che si rivelerà essere il suo carattere e i genitori poco alla volta imparano a conoscerlo. Quando un bimbo incontra il mondo che lo circonda reagisce ad esso in modo peculiare, a seconda di ciò che lo colpisce di più.
Già nel pancione c’è chi si agita e chi sta tranquillo, chi si tiene una manina sul viso e chi si succhia il dito. Sono tutti tratti di personalità che, lentamente, prendono forma.
Per questo bisogna darsi tempo di conoscere il proprio figlio quando nasce; lo si immagina uguale a sé, con le stesse inclinazioni, oppure ci si augura che sia diametralmente opposto e non erediti quelli che sono percepiti come i propri difetti.
Ma lui sarà unico e speciale, troverete delle somiglianze e delle differenze con voi, ma non sarà mai la copia di nessuno: questo è fondamentale.
A voi spetta il grande compito educativo. Esso non è teso a modificare il carattere o la personalità, ma a insegnare al bambino come vivere nel mondo proprio partendo da quelle caratteristiche. Dovrete insegnare al vostro bambino come la sua libertà si debba intersecare con quella dell’altro, come si ama e si rispetta, come si può stare bene nel mondo non rinunciando a sé stessi.
Mi sento chiedere così spesso se è colpa dei genitori per ciò che diventano i figli… Io credo che non si possa parlare di colpe per nessuno. La genetica fa la sua parte e l’ambiente la propria. Spesso è una congiuntura d’eventi che crea il disagio; alcuni di questi eventi sono prevedibili, altri no.
Certo è un arduo compito crescere un figlio e non si può fare tutto perfettamente, anche perché sarebbe dannoso: un genitore deve poter sbagliare, così da dimostrare al proprio bambino che nessuno è perfetto e che l’importante non è non commettere errori, bensì riconoscerli e cercare di porvi rimedio.


domenica 15 luglio 2012

Io questo bambino non lo volevo

“Io questo bambino non lo volevo” non vuole dire che non lo amerò, che non saprò essere un bravo genitore, che non mi impegnerò con tutte le mie forze per dargli il meglio che mi sia possibile.
Ma non l’ho cercato, non l’ho aspettato, non l’ho desiderato con forza; è arrivato, si è materializzato nel pancione e io ora ci faccio i conti.
Forse è stata una leggerezza, forse è stata una coincidenza, forse in realtà qualcosa dentro di me un po’ lo invocava questo bambino, ma erano troppi i dubbi e le preoccupazioni.
In ogni caso ora c’è, è un piccolo esserino, dipende da me, non credo di essere pronta.
Sai se una donna ha tempo per pensarci, per organizzarsi, beh allora è un po’ più facile; si sente già l’istinto materno. Io invece non sarò in grado, non so ancora cosa voglio dalla vita, sono a stento capace di provvedere a me stessa!
E come sarà la vita di coppia poi? E il lavoro? E se non riuscirò a fare tutto?
Non sarò mai una brava mamma. Le brave mamme sono quelle dei telefilm americani, che vivono in funzione dei loro figli, preparando torte e dolcetti, con un’infinta pazienza; che non sono agitate perché in ufficio è un caos, che non si preoccupano di diventare grasse e non essere più attraenti, che hanno come unico scopo nella vita dedicarsi a quella schiera di marmocchi.
Beh, io non sarò così, non ce la farò mai ad essere così. Forse non sarò capace.
Ma io mio figlio imparerò ad amarlo, giorno per giorno, perché mi renderò conto che sarà un percorso naturale; imparerò a conoscerlo e a trovarlo irresistibile; scoprirò che le rinunce che dovrò fare saranno meno difficili del previsto, perché il suo bene verrà prima del mio.
Non importa se non lo volevo, non importa se ho pianto di disperazione quando ho saputo di essere incinta, non importa se non sarò la mamma perfetta: lui è mio figlio, il mio cuore batte dentro il suo petto. Ora lo so.




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lunedì 9 luglio 2012

E basta con i consigli!

Dal giorno in cui si comunica a parenti e amici che si diventerà genitori si sente piovere intorno a sé una marea di consigli: “mangia per due!”, “non ingrassare!”, “riposati!”, “fai attività fisica!”, “partorisci qui, no lì!”… e quando poi i bambini nascono, e crescono, l’elenco aumenta vertigionsamente: “dagli le botte se sbaglia!”, “imponiti!”, “non prenderlo in braccio lo vizi!”, “non dagli il cioccolato fa male”, eccetera eccetera.
Non se ne può più!!
Le persone che vi circondano vi diranno tutto e il contrario di tutto e cercheranno di persuadervi della validità delle loro ragioni; spesso vi manderanno in confusione e non saprete più a chi dare retta.
È un atteggiamento che spesso infastidisce perché è invadente e poco rispettoso, a volte irritante. Ci si sente addirittura trattati da sciocchi se le raccomandazioni sono fin troppo banali.
In questi casi un bel sorriso e un “grazie, ne farò tesoro” sono il modo migliore per evitare lunghe e prolisse discussioni atte a difendere il vostro punto di vista. Non ne vale la pena.
Non permettete che gli altri decidano per voi, perché ogni scelta potenzialmente può essere sbagliata, l’importante è prendere le decisioni il più serenamente possibile.
Voi insegnate a vostro figlio ciò che ritenete giusto e da lì portate avanti la vostra coerenza; essa vi salverà nei momenti di difficoltà.
Fidatevi di voi stessi, del vostro essere bravi genitori, non fatevi spaventare da tutto ciò che vi dicono o che leggete; informatevi piuttosto in autonomia, valutate i pro e i contro, ma poi scegliete con la vostra testa.
Fare la mamma e il papà è già difficile di per sé, anche quando si è profondamente convinti di ciò che si fa; i consigli non richiesti devono avere lo spazio che meritano, non devono avere tanto potere da mandarvi in crisi.


lunedì 2 luglio 2012

Raccontami una storia

Si, mamma, papà, inventa una storia, una storia tutta per me, su misura per la mia fantasia, una storia in cui io, il tuo bambino, possa riconoscermi nei personaggi e possa fare finta di vivere avventure incredibili standomene nel mio lettino.
La tua storia mi farà provare emozioni speciali, anzi, me le farà scoprire.
Recitala la mia storia, mamma, papà, fammi sentire che anche per te è bello quando me la racconti; siamo solo noi, non devi vergognarti o sentirti in imbarazzo, per me sei meglio di qualsiasi cartone animato!
Le tue storie non devono essere per forza lunghe e complesse, non serve, basta una trama facile facile, così che io la possa capire; ma mi raccomando, deve sempre esserci il lieto fine, è una condizione insindacabile.
Io me ne ricorderò da grande mamma, non dubitarne papà, mi ricorderò quando sgranavo gli occhi per le avventure di quella formichina, o di quel cagnolino, o di quella principessa… mi ricorderò il cuore che ci mettevi per inventare qualcosa che fosse solo nostra, un universo creato su misura per noi.
Io imparerò da quelle storie molto più di quanto tu creda, anche se ti sembreranno banali o scontate; imparerò i valori che inevitabilmente mi passerai dalle tue parole, anche inconsapevolmente, ma soprattutto imparerò che si può essere contemporaneamente nella propria cameretta e nel mondo fantastico dove troverò rifugio quando sarò un po’ triste o in difficoltà.
Raccontami una storia e mi farai felice.
 
 

lunedì 25 giugno 2012

Ma che cos'è l'autismo?!

Oggi care mamme sento il bisogno di fare chiarezza su un punto importante, che così spesso preoccupa i genitori dei piccoli e di cui si sente sempre più parlare ma in maniera poco comprensibile.
Il tema in questione è l’autismo, sindrome che si manifesta nei primissimi anni di vita e di cui hanno parlato, magari un po’ romanzando, molti film e diversi libri.
L’autismo è un disturbo dello sviluppo che colpisce circa 10 bambini su 10.000. La maggior parte delle diagnosi viene effettuata quando il bambino ha già più di quattro anni, ma è importante invece che possa essere stabilita prima così da poter iniziare precocemente programmi riabilitativi sfruttando la plasticità della mente dei piccolissimi. Il recupero a quel punto può essere davvero significativo.
I sintomi che i genitori più frequentemente mi riportano come segnali che li hanno insospettiti, ma a cui per mesi e mesi non hanno dato troppo peso sono:
- stranezze nella comunicazione (ad esempio il bambino ripete ossessivamente sempre lo stesso suono, o tarda significativamente a parlare, o comunica prevalentemente tramite suoni prodotti con la bocca e la lingua che non sono parole, dopo 15-18 mesi),
- mancanza di gioco simbolico (cioè il bambino è incapace di giocare a fare finta di telefonare, mangiare, cucinare, lavorare come il papà…),
- assenza di imitazione (il bambino non imita nessuna azione propostagli in forma di gioco),
- sguardo sfuggente (il bambino non guarda mai o quasi mai negli occhi l’interlocutore, mamme e papà compresi),
- manierismi nei movimenti di mani e dita (movimenti senza scopo, ripetuti continuamente e senza apparente senso),
- reazioni insolite a suoni o luci lampeggianti (fissazione sulle luci che necessita dell’interruzione da parte dell’adulto, estremo fastidio per suoni leggermente più forti del normale),
- strane posture assunte (che vi sembrano scomode e innaturali),
- scarsa o assente ricerca di contatto fisico,
- apparente disinteresse per numerose varietà di stimoli. 
Chiaramente questi sono alcuni indicatori che presi singolarmente non hanno nessun valore, ma che vi devono insospettire se si presentano in combinazione.
Se foste preoccupate mamme, nessun allarme: chiedete una visita in neuropsichiatria infantile e parlate loro dei vostri dubbi. Meglio fugarli con un percorso di valutazione che tenerli per sé.
Anche perché per il vostro bimbo sarà un gioco divertente affrontare le prove che gli verranno proposte.



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lunedì 18 giugno 2012

Vivere i distacchi

La vita di ognuno di noi prevede che prima o poi si debbano affrontare distacchi e separazioni.
Il primo grande distacco è quello che il bambino e la sua mamma vivono all’atto della nascita: non sono più una cosa sola, un corpo solo, ma diventano improvvisamente due persone separate. Il dolore fisico del parto porta con sé anche il dolore emotivo dell’allontanarsi.
I nove lunghi mesi che precedono questo evento servono al pensiero delle mamme per prepararsi a stringere tra le braccia qualcuno che è cresciuto dentro di loro, grazie a loro e che le ha accompagnate ovunque.
Quando il proprio figlio nasce la gioia si accompagna alla malinconia: quel cucciolino che prima era solo nostro ora è di tutti e soprattutto di sé stesso; quanta fatica allontanarsi, quanta solitudine quando si resta sole.
Mamme, imparare a vivere i distacchi è importante, perché essi sono momenti di crescita sia per i piccoli che per voi. Solo allontanandosi si può capire che si sta bene insieme.
Il parto è il primo di questi momenti, ma ce ne sono sempre di nuovi dopo di esso: la fine dell’allattamento permette ai bambini di provare nuove sensazioni apprendendo nuove autonomie e permette a voi maggiore libertà di movimento, anche se vi mancherà quel contatto così intimo.
L’inizio del nido, o della scuola materna, permette ai piccoli di stare con i loro coetanei e costruire le prime amicizie e permette a voi di occuparvi con più serenità di tutto ciò che avevate dovuto accantonare per un po’, anche se vi sembra di sentire il vostro bimbo così lontano per tutta la giornata.
Insomma, gli allontanamenti e i distacchi sono fisiologici e salutari, per questo più sono vissuti con serenità meno saranno dolorosi. Ogni momento di passaggio chiude sì una fase di vita che sicuramente vi mancherà, ma apre a nuove emozioni ed esperienze e rafforza il rapporto che avete con il vostro bimbo.
Pensate a questo: per guardarsi negli occhi non si può essere la stessa persona, per mandarsi un bacio che vola non si può essere abbracciati, per corrersi incontro non si può essere già vicini, per sentire la mancanza dell’altro non si può essere nello stesso luogo.
 
 

lunedì 11 giugno 2012

Buonanotte, bebè!

Perché è così difficile il momento dell’addormentamento dei bebè per così tanti genitori?
Quante volte si sente dire “ah il mio bambino non si addormenta se non è attaccato al seno” oppure “ah non c’è verso di farlo addormentare nella culla, solo in braccio” e altri frasi simili che sicuramente in questo momento vi vengono in mente.
Per un bambino, soprattutto un neonato, lasciarsi andare al sonno è un lancio di dadi: non sa se quando si sveglierà tutto sarà ancora al suo posto, perché non ha ancora imparato che le persone esistono anche quando lui ha gli occhi chiusi e non le vede. Quindi il momento dell’addormentamento è sicuramente delicato e un po’ ansiogeno per il piccolo, ma non lo deve diventare anche per i suoi genitori se no è un po’ come passargli il messaggio “si fai bene a preoccuparti, lo sono anche io”.
La serenità di chi lo accompagna alla nanna e lo mette nel lettino è in assoluto l’unica cosa veramente necessaria al bambino per rilassarsi. Tutto il resto sono coccole che lo gratificano e sicuramente lo fanno stare bene, ma diventano un’arma a doppio taglio se la convinzione che le genera è che esse siano indispensabili allo scopo.
Mamme, papà, instaurate piuttosto una routine positiva per il bimbo che deve andare a dormire la sera: sempre alla stessa ora annunciategli che è ora di fare la nanna, coccolatelo, adagiatelo nella culla o nel lettino, fategli una carezza o cantategli una canzoncina, ma poi salutatelo e allontanatevi.
Siate sereni nel farlo perché è la cosa più importante.
E se il bimbo piange? Allora tornate da lui e ripetete la routine, ma non pensate che abbia bisogno di altro se sapete che ha il pancino pieno e il pannolino pulito. Rassicuratelo della vostra presenza, dategli un bacio e poi allontanatevi.
Il piccolo imparerà che il suo lettino è fonte di rilassamento e non di angoscia, che ci si può riposare tranquilli e non avere paura di trovarvici a tradimento dopo essersi addormentati tra le braccia di mamma o papà.
E voi genitori godetevi lo spazio lasciato dalla nanna del vostro bebè per ritrovarvi e tornare, anche solo per qualche ora, alla spensierata vita di coppia.
 
 

domenica 3 giugno 2012

Buonanotte, mamme!

Il tempo della nanna, così essenziale per il benessere del bambino e dei suoi genitori, è spesso fonte di preoccupazioni e ansie. Le neo mamme, quando descrivono i loro neonati, uno dei primi riferimenti che fanno è al sonno: quanto dorme il piccolo la notte e quanto le lascia dormire.
Perché non dormire di notte, per noi adulti, è faticosissimo e quando succede per più giorni diventa davvero un problema. Durante il giorno ci si sente a pezzi, i pensieri non sono lucidi, i nervi sono a fior di pelle e ogni difficoltà sembra una montagna da scalare.
Inoltre la notte, quando i bimbi si svegliano, il tempo sembra non passare mai: si è sole di notte, mentre il proprio compagno dorme perché il giorno dopo lavora; si è sole con i propri pensieri, con la propria fatica, con quel bebè che strilla e che non trova pace. Non si può chiamare nessuno al telefono per due chiacchiere confortanti, non c’è nessuna compagnia nei programmi televisivi, nessun rumore a fare da sottofondo. Ci si preoccupa anzi di svegliare il marito, gli altri figli, i vicini di casa.
La notte è un momento delicato e i pensieri negativi si fanno avanti più facilmente.
Mamme, trovate qualcosa che la notte, quando il bebè piange o proprio non vuole tornare a dormire, possa farvi sentire meno sole: mettete un po’ di musica di sottofondo, mettete un dvd comico nel lettore e lasciate che le immagini vi strappino qua e là un sorriso, accendete il computer e aprite la pagina internet del gossip o della moda così che vi distragga quando le date un’occhiata.
Insomma, non lasciate che l’ansia e i cattivi pensieri vi sovrastino; pensate che state facendo una grande fatica ma che la notte poi finisce e domani tutto andrà meglio.
Più riuscite a stare tranquille più quella tranquillità passerà al vostro bambino.
E la cosa davvero importante è che il giorno successivo voi recuperiate energie, che vi riposiate quando il piccolo dorme: le incombenze domestiche possono aspettare!



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lunedì 28 maggio 2012

Le tappe di sviluppo del bambino: lo sviluppo cognitivo

Abbiamo visto insieme come si sviluppino alcuni tra i primi gesti e movimenti dei bambini nel corso del primo anno di vita; tale acquisizione di capacità è resa possibile perché basata su un parallelo sviluppo dell’intelligenza.
L’abilità cognitiva del piccolo gli permette, nel graduale corso delle settimane e poi dei mesi, di dare un significato diverso ai gesti che gli suggerisce l’istinto. Ciò consente al bambino di comunicare molto prima che il linguaggio si sviluppi, perché riesce a coinvolgere l’adulto sollecitando la sua attenzione.
Un esempio importante di questa capacità, che matura all’incirca intorno ai sei mesi, è il pointing cioè l’uso del ditino per indicare un oggetto o un’immagine. Quando i bambini cominciano ad indicare il loro universo si apre, anche perché questa conquista si integra con la capacità di osservare il mondo circostante. Inoltre il bimbo impara in fretta quando quel suo gesto sia valorizzato (pensiamo alla gioia di assecondare il suo interesse e insegnargli il mondo) e quindi è incentivato a metterlo in pratica, apprendendo a utilizzarlo anche per richiedere all’adulto ciò che vuole e che in quel momento non è alla sua portata.
Sempre intorno ai sei mesi il bambino dimostra di riconoscere i volti familiari e riserva alle persone che lo circondano più spesso peculiari manifestazioni d’affetto. Questo è fonte di gratificazione per tutti coloro che ruotano intorno al piccolo, i quali si sentono finalmente riconosciuti da lui e, quindi, un po’ speciali.
La naturale conseguenza di questa capacità di distinguere le persone che lo circondano sfocia, all’incirca all’ottavo mese di vita, nella cosiddetta angoscia dell’estraneo. Si intende con quest’espressione quella fase di vita in cui, anche il bambino più socievole e tranquillo, si agita e piange quando per esempio viene preso in braccio da qualcuno che non sia la sua mamma o il suo papà. Spesso i genitori si allarmano per questo comportamento, cercandone le cause in un possibile piccolo trauma, ma è assolutamente normale e, anzi, molto importante; solo così il bambino può sperimentare sia la possibilità della mancanza di chi lo accudisce, sia la certezza del suo ritorno, imparando gradualmente a tollerare la frustrazione e a cercare nuovi mezzi di consolazione. Qui il piccolo inizia, anche se sembra una contraddizione, a essere più autonomo e si abitua a sentirsi un individuo che può, per breve tempo, separarsi dalla sua mamma.
Fondamentale conquista del primo anno di età è il gioco simbolico, cioè la capacità di giocare a fare finta: i piattini giocattolo diventano pieni di cibo immaginato che il bambino trionfalmente offre all’adulto; la bambola diventa un piccolino da accudire; il pelouche un cagnolino vero da portare a spasso con il guinzaglio. Il mondo della realtà e della concretezza lascia un po’ di spazio finalmente alla fantasia.


lunedì 21 maggio 2012

Le tappe di sviluppo del bambino: lo sviluppo motorio

I cuccioli umani, rispetto a quelli delle altre specie, sono tra i più immaturi quando vengono al mondo. Essi hanno totale e assoluto bisogno dell’accudimento di un adulto, senza il quale non possono sopravvivere.
Lo sviluppo dei bambini, soprattutto nel primo anno di vita, è quindi sorprendente e avviene a ritmi serrati; certo, il tempismo con cui ogni bambino matura le tappe principali è peculiare, infatti la tempistica è assolutamente approssimativa, ma ogni bambino passerà da alcune grandi acquisizioni di base, prima o poi.
Per quanto riguarda lo sviluppo motorio il bambino nasce con l’assoluta incapacità di sorreggersi; egli deve essere tenuto in braccio o adagiato su un supporto, non può ancora tenere il capo sollevato autonomamente perché i suoi muscoli del collo sono troppo fragili.
Dai primi istanti dopo la nascita però si nota un riflesso importante che i piccoli conservano fino a quando sviluppano il comando volontario dei propri movimenti: è il grasping, o riflesso di prensione, ed è quel riflesso che permette al bimbo di stringere forte con la sua piccola manina il nostro dito quando gli solletichiamo il palmo. È un riflesso che evoca una grandissima tenerezza, perché ci fa sentire indispensabili e ci permette di capire tutto il bisogno che quel piccolo cucciolo ha di essere accudito.
Già dalle prime settimane di vita, inoltre, i bimbi nel sonno sorridono. Tale sorriso non è ancora intenzionale ma è la manifestazione di una condizione di benessere interno, un po’ come il pianto è la manifestazione di un senso di malessere.
Il sorriso intenzionale, chiamato anche sorriso sociale, compare genericamente intorno alla fine del secondo mese: è un avvenimento incredibilmente emozionante, ci si sente finalmente riconosciuti da quel piccolino che fino a quel momento non aveva potuto dare grandi risposte ai nostri tentativi di interazione. E i sorrisi più belli sono sempre per la mamma.
Verso il quarto mese di vita il piccolo impara anche a mantenere il capo eretto, senza più bisogno di sostegno: è una conquista fondamentale che gli permette di guardarsi intorno e seguire con gli occhietti ciò che più suscita la sua attenzione.
Un ulteriore passo in avanti avviene intorno i sette mesi, quando si ha la conquista della capacità di stare seduti da soli, che permette di interagire con gli oggetti che si hanno di fronte e di cominciare a giocare.
Verso l’anno di età, infine, la tappa dello sviluppo motorio più ambita: la capacità di camminare. Nella maggior parte dei bambini essa è preceduta dal gattonamento, ma non è assolutamente detto che sia così. Il piccolo ora può finalmente esplorare il mondo come più lo aggrada, può arrivare dove desidera e, soprattutto, può tornare di corsa dalla sua mamma quando ha tanta voglia di un abbraccio.


lunedì 14 maggio 2012

L'incontro

La nascita di un bambino è fondamentalmente un incontro: per la prima volta la mamma abbraccia il suo piccolo e il bimbo riconosce la sua mamma.
Dal concepimento sono ormai passati mesi, durante i quali, piano piano, nella testa della mamma si è formata l’immagine di suo figlio: lei si guarda il pancione e vede già il bimbo, ne delinea i tratti del viso, ne intravede la forma delle mani, disegna i suoi piedini.
L’attesa è il periodo dell’immaginario; il bambino che cresce dentro la pancia della mamma si sviluppa piano piano anche dentro la sua testa.
Quando viene il momento del parto, però, la realtà entra prepotentemente in scena: il dolore accompagna il passaggio alla vita e, in qualche modo, è già uno shock. Ed è qui che avviene il primo vero incontro, spesso difficile.
La mamma, finalmente, si trova tra le braccia il piccolo tanto aspettato e non lo riconosce: le sembra brutto, spesso, e il suo visino corrugato non esprime propriamente la gioia di essere venuto al mondo. Ma è fondamentale pensare che la nascita, per un bimbo, è un avvenimento traumatico perché lo catapulta in un mondo di bisogni che fino a quel momento non ha mai percepito. È quindi normale che egli, anche nell’aspetto, dimostri tutta la fatica di un passaggio epocale.
Per la mamma la fatica dell’incontro con il bambino reale, che è inevitabilmente diverso da quello immaginato, arriva al rientro a casa, quando si trova a tu per tu con il nuovo esserino che le sconvolge i ritmi e i pensieri.
La maggior difficoltà sta nella pazienza di conoscersi passo dopo passo, di imparare ad amarsi e a capirsi. Un neonato è dispotico ed egoista, chiede il totale asservimento a sé e la mamma si trova a non capacitarsi di come le sue fantasie potessero essere tanto rosee e lontane dalla concreta realtà.
Ma non spaventatevi mamme, sono solo le prime settimane, dovete darvi il tempo di abituarvi a questa nuova fase di vita; vi renderete conto giorno per giorno che affinerete la sensibilità ai bisogni del vostro bimbo, che lo capirete sempre più e sempre meglio, che smetterete di sentirvi una cattiva mamma perché non riuscite a interpretare il pianto, disperato, del vostro piccolo.
Dovete avere tanta pazienza, quella che vi si è allenata nei nove mesi di attesa; dovete darvi il tempo di innamorarvi del vostro piccolo e di sentire il suo totale e devoto amore per voi.