lunedì 28 maggio 2012

Le tappe di sviluppo del bambino: lo sviluppo cognitivo

Abbiamo visto insieme come si sviluppino alcuni tra i primi gesti e movimenti dei bambini nel corso del primo anno di vita; tale acquisizione di capacità è resa possibile perché basata su un parallelo sviluppo dell’intelligenza.
L’abilità cognitiva del piccolo gli permette, nel graduale corso delle settimane e poi dei mesi, di dare un significato diverso ai gesti che gli suggerisce l’istinto. Ciò consente al bambino di comunicare molto prima che il linguaggio si sviluppi, perché riesce a coinvolgere l’adulto sollecitando la sua attenzione.
Un esempio importante di questa capacità, che matura all’incirca intorno ai sei mesi, è il pointing cioè l’uso del ditino per indicare un oggetto o un’immagine. Quando i bambini cominciano ad indicare il loro universo si apre, anche perché questa conquista si integra con la capacità di osservare il mondo circostante. Inoltre il bimbo impara in fretta quando quel suo gesto sia valorizzato (pensiamo alla gioia di assecondare il suo interesse e insegnargli il mondo) e quindi è incentivato a metterlo in pratica, apprendendo a utilizzarlo anche per richiedere all’adulto ciò che vuole e che in quel momento non è alla sua portata.
Sempre intorno ai sei mesi il bambino dimostra di riconoscere i volti familiari e riserva alle persone che lo circondano più spesso peculiari manifestazioni d’affetto. Questo è fonte di gratificazione per tutti coloro che ruotano intorno al piccolo, i quali si sentono finalmente riconosciuti da lui e, quindi, un po’ speciali.
La naturale conseguenza di questa capacità di distinguere le persone che lo circondano sfocia, all’incirca all’ottavo mese di vita, nella cosiddetta angoscia dell’estraneo. Si intende con quest’espressione quella fase di vita in cui, anche il bambino più socievole e tranquillo, si agita e piange quando per esempio viene preso in braccio da qualcuno che non sia la sua mamma o il suo papà. Spesso i genitori si allarmano per questo comportamento, cercandone le cause in un possibile piccolo trauma, ma è assolutamente normale e, anzi, molto importante; solo così il bambino può sperimentare sia la possibilità della mancanza di chi lo accudisce, sia la certezza del suo ritorno, imparando gradualmente a tollerare la frustrazione e a cercare nuovi mezzi di consolazione. Qui il piccolo inizia, anche se sembra una contraddizione, a essere più autonomo e si abitua a sentirsi un individuo che può, per breve tempo, separarsi dalla sua mamma.
Fondamentale conquista del primo anno di età è il gioco simbolico, cioè la capacità di giocare a fare finta: i piattini giocattolo diventano pieni di cibo immaginato che il bambino trionfalmente offre all’adulto; la bambola diventa un piccolino da accudire; il pelouche un cagnolino vero da portare a spasso con il guinzaglio. Il mondo della realtà e della concretezza lascia un po’ di spazio finalmente alla fantasia.


lunedì 21 maggio 2012

Le tappe di sviluppo del bambino: lo sviluppo motorio

I cuccioli umani, rispetto a quelli delle altre specie, sono tra i più immaturi quando vengono al mondo. Essi hanno totale e assoluto bisogno dell’accudimento di un adulto, senza il quale non possono sopravvivere.
Lo sviluppo dei bambini, soprattutto nel primo anno di vita, è quindi sorprendente e avviene a ritmi serrati; certo, il tempismo con cui ogni bambino matura le tappe principali è peculiare, infatti la tempistica è assolutamente approssimativa, ma ogni bambino passerà da alcune grandi acquisizioni di base, prima o poi.
Per quanto riguarda lo sviluppo motorio il bambino nasce con l’assoluta incapacità di sorreggersi; egli deve essere tenuto in braccio o adagiato su un supporto, non può ancora tenere il capo sollevato autonomamente perché i suoi muscoli del collo sono troppo fragili.
Dai primi istanti dopo la nascita però si nota un riflesso importante che i piccoli conservano fino a quando sviluppano il comando volontario dei propri movimenti: è il grasping, o riflesso di prensione, ed è quel riflesso che permette al bimbo di stringere forte con la sua piccola manina il nostro dito quando gli solletichiamo il palmo. È un riflesso che evoca una grandissima tenerezza, perché ci fa sentire indispensabili e ci permette di capire tutto il bisogno che quel piccolo cucciolo ha di essere accudito.
Già dalle prime settimane di vita, inoltre, i bimbi nel sonno sorridono. Tale sorriso non è ancora intenzionale ma è la manifestazione di una condizione di benessere interno, un po’ come il pianto è la manifestazione di un senso di malessere.
Il sorriso intenzionale, chiamato anche sorriso sociale, compare genericamente intorno alla fine del secondo mese: è un avvenimento incredibilmente emozionante, ci si sente finalmente riconosciuti da quel piccolino che fino a quel momento non aveva potuto dare grandi risposte ai nostri tentativi di interazione. E i sorrisi più belli sono sempre per la mamma.
Verso il quarto mese di vita il piccolo impara anche a mantenere il capo eretto, senza più bisogno di sostegno: è una conquista fondamentale che gli permette di guardarsi intorno e seguire con gli occhietti ciò che più suscita la sua attenzione.
Un ulteriore passo in avanti avviene intorno i sette mesi, quando si ha la conquista della capacità di stare seduti da soli, che permette di interagire con gli oggetti che si hanno di fronte e di cominciare a giocare.
Verso l’anno di età, infine, la tappa dello sviluppo motorio più ambita: la capacità di camminare. Nella maggior parte dei bambini essa è preceduta dal gattonamento, ma non è assolutamente detto che sia così. Il piccolo ora può finalmente esplorare il mondo come più lo aggrada, può arrivare dove desidera e, soprattutto, può tornare di corsa dalla sua mamma quando ha tanta voglia di un abbraccio.


lunedì 14 maggio 2012

L'incontro

La nascita di un bambino è fondamentalmente un incontro: per la prima volta la mamma abbraccia il suo piccolo e il bimbo riconosce la sua mamma.
Dal concepimento sono ormai passati mesi, durante i quali, piano piano, nella testa della mamma si è formata l’immagine di suo figlio: lei si guarda il pancione e vede già il bimbo, ne delinea i tratti del viso, ne intravede la forma delle mani, disegna i suoi piedini.
L’attesa è il periodo dell’immaginario; il bambino che cresce dentro la pancia della mamma si sviluppa piano piano anche dentro la sua testa.
Quando viene il momento del parto, però, la realtà entra prepotentemente in scena: il dolore accompagna il passaggio alla vita e, in qualche modo, è già uno shock. Ed è qui che avviene il primo vero incontro, spesso difficile.
La mamma, finalmente, si trova tra le braccia il piccolo tanto aspettato e non lo riconosce: le sembra brutto, spesso, e il suo visino corrugato non esprime propriamente la gioia di essere venuto al mondo. Ma è fondamentale pensare che la nascita, per un bimbo, è un avvenimento traumatico perché lo catapulta in un mondo di bisogni che fino a quel momento non ha mai percepito. È quindi normale che egli, anche nell’aspetto, dimostri tutta la fatica di un passaggio epocale.
Per la mamma la fatica dell’incontro con il bambino reale, che è inevitabilmente diverso da quello immaginato, arriva al rientro a casa, quando si trova a tu per tu con il nuovo esserino che le sconvolge i ritmi e i pensieri.
La maggior difficoltà sta nella pazienza di conoscersi passo dopo passo, di imparare ad amarsi e a capirsi. Un neonato è dispotico ed egoista, chiede il totale asservimento a sé e la mamma si trova a non capacitarsi di come le sue fantasie potessero essere tanto rosee e lontane dalla concreta realtà.
Ma non spaventatevi mamme, sono solo le prime settimane, dovete darvi il tempo di abituarvi a questa nuova fase di vita; vi renderete conto giorno per giorno che affinerete la sensibilità ai bisogni del vostro bimbo, che lo capirete sempre più e sempre meglio, che smetterete di sentirvi una cattiva mamma perché non riuscite a interpretare il pianto, disperato, del vostro piccolo.
Dovete avere tanta pazienza, quella che vi si è allenata nei nove mesi di attesa; dovete darvi il tempo di innamorarvi del vostro piccolo e di sentire il suo totale e devoto amore per voi.
 
 

lunedì 7 maggio 2012

Siamo ancora una coppia

Quando da due si diventa tre (o più) il cambiamento è una rivoluzione epocale: i ritmi vengono sovvertiti, le energie consumate, i pensieri sconvolti. Quando nasce un bambino la donna diventa mamma: la natura e la necessità la portano a dedicarsi al piccolo arrivato con una dedizione totale e assoluta perché egli dipende da lei in tutto e per tutto.
Il papà partecipa a tali cure, ma quasi sempre presto deve tornare al lavoro e la mamma resta sola con il bambino.
I bisogni del pargolo assorbono completamente il tempo e le risorse della mamma, che si trova a trasformare la propria vita: gli orari del cibo e del sonno, tanto per fare un esempio, non sono più così scontati, né così arbitrari.
Inoltre le prime settimane dopo il parto non si possono avere rapporti sessuali; a seconda del tipo di parto tale periodo può essere più o meno lungo.
Spesso le donne non avvertono tale latenza come eccessivamente problematica: il bambino le completa e a volte le satura, non c’è spazio per altre braccia che cingano o per altre bocche che s’avvicinino.
I neo papà si trovano così, improvvisamente, esclusi da un corpo e da un affetto che avevano dato per certo e spesso non si capacitano della reticenza delle neo mamme a riprendere l’attività sessuale anche quando diventa possibile.
E' una situazione normale, la coppia sta affrontando una nuova fase della sua esistenza e ciò inevitabilmente porta il suo carico di fatica.
Ma la coppia è un orto che per dare frutto dev’essere coltivato, con costanza e passione: certo, quando arriva l’inverno lo si lascia riposare, ma per poterne gustare i prodotti a primavera bisogna metterci mano. Se lo trascurate per troppo tempo esso inaridirà, piano piano.
Non permettetevi di abituarvi a fare a meno della coppia che eravate, trovate degli spazi, dei momenti di intimità, di affetto, di vicinanza fisica e emotiva. 
 
 

mercoledì 2 maggio 2012

La voce della mamma

Durante i nove mesi di gravidanza il bambino vive immerso nella sua mamma; ne assorbe il nutrimento per crescere, l’ossigeno per respirare, il sonno per riposare.
Oltre a tutto quello che passa dal cordone ombelicale e dalla placenta, al bambino giungono anche gli stimoli esterni, come la luce e i suoni. In particolare i suoni accompagnano i nove mesi del bambino nel pancione, proprio come il ritmo fa da base ad una canzone.
Alcuni studi scientifici hanno dimostrato l’effetto rilassante di un certo tipo di musica, percependo i movimenti del feto; altri studi hanno rilevato come una certa melodia, ad esempio un carillon, fatta “ascoltare” al pancione prima di dormire, aiuti il bambino, una volta nato, a rilassarsi e prendere sonno.
Ma il suono principale, il più importante, l’accompagnamento del viaggio nel pancione è uno: la voce della mamma. Essa scandisce tutta la vita del bambino prima di nascere, lo porta a conoscenza delle prime emozioni che la sua mamma prova, gli anticipa la dolcezza e l’affetto in cui sarà immerso una volta al mondo.
La voce della mamma arriva al bambino dall’interno del liquido amniotico, quindi non risulta perfettamente uguale a quella che sentirà quando, ad esempio, le starà in braccio; ma i suoni hanno diverse caratteristiche che all’orecchio umano restano invariate: il timbro, la frequenza, l’accento, la cadenza… Questi sono tutti elementi che il bambino si ricorderà.
Parlare al pancione può far sorridere e magari imbarazzare un po’, ma si può fare quando si è sole e nessun’altro sente, sarà ancora più intimo.
Coccolate il vostro bambino già con le parole, come quando vi accarezzate il pancione sperando che quelle carezze gli arrivino anche là dentro; cantategli una ninna nanna, raccontategli come ve lo immaginate, descrivetegli i suoi genitori.
Parlategli di qualsiasi cosa vi renda felice, così che lui senta quell’affetto che provate e possa cominciare a sperimentare quel profondo legame che lo unirà a voi per tutta la vita.



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